Breve storia della fotografia a colori
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L'autore: Robert Hirsch è un fotografo, scrittore e direttore di Light research. Ha scritto diversi libri : Seizing the Light: A History of Photography, Photographic Possibilities: The Expressive Use of Ideas, Materials, and Processes, and Exploring Color Photography.

Hirsch è stato Associate Editor di Digital Camera (UK) e Photovision Magazine, collaboratore di Afterimage, exposure, Buffalo Spree, Fotophile, FYI, History of Photography, Ilford Photo Instructor Newsletter, and The Photo Review, così come ex direttore della galleria CEPA.

 

 

 

 



 

 



 

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© 2013 Robert Hirsch

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Breve storia
della fotografia a colori

di Robert Hirsch ©


Questa storia della fotografia a colori è la traduzione della prima parte del capitolo 2 del libro:
"A Concise History of Color Photography from Exploring Color Photography" (5° edizione) di Robert Hirsch, edito dalla Focal Press. Ringraziamo per la collaborazione l'autore e Alan Griffiths, del sito:
Luminous Lint for connoisseurs of fine Photography, che ha pubblicato questo estratto, in originale, sul web.



2.1. Le prime fotografie a colore: procedimenti di colore applicato

Per capire cosa sta succedendo oggi nella fotografia a colori è utile sapere che cosa è capitato nel passato.
La storia della fotografia a colori può essere ricondotta all'annuncio pubblico, del 1839, di Louis-Jacques-Mandé Daguerre, del suo processo dagherrotipo, che produceva un'immagine fotografica finemente dettagliata, unica nel suo genere, direttamente-positiva, attraverso l'azione della luce su una lastra di rame rivestita d'argento.
I dagherrotipi, piacquero e stupirono, ma ciononostante la gente si lamentava perchè le immagini erano prive di colore. Poichè vediamo il mondo a colori, altri immediatamente cominciarono a cercare modi per superare questa carenza e le prime fotografie colorate fecero la loro apparizione in quello stesso anno. Il colore veniva applicato a mano, direttamente sulla superficie del dagherrotipo. Da allora sono state brevettati decine e decine di miglioramenti e nuovi processi per uso commerciale.


Joel Meyerowitz - Torri gemelle (pannello di destra) 25/09/2001
2001, 27 Settembre - Cromogenic color print - 48 × 60 pollici.
Edwynn Houk Gallery - Per gentile concessione di Edwynn Houk Gallery, New York, NY
.

La capacità di un'immagine di registrare e fungere da testimone di un momento specifico nel tempo è stato il cuore della pratica fotografica. Quando Joel Meyerowitz si trovò in mezzo alla folla che guardava i resti del crollo delle torri gemelle, un ufficiale di polizia gli ricordò che si trattava di una scena di un crimine e quindi non era permessa alcuna fotografia. "Per me", ha detto Meyerowitz, "nessuna fotografia significava nessuna storia. Quindi ho deciso che il mio compito era di realizzare una registrazione fotografica per il futuro".

Negli Stati Uniti, sono stati impiegati quattro metodi principali nella colorazione dei dagherrotipi:
(1) applicando il colore direttamente a un dagherrotipo dorato (l'oro migliorava aspetto e stabilità);
(2) applicando una vernice protettiva trasparente sopra la piastra, poi colorando a mano con vernici;
(3) applicando i colori trasparenti a specifiche aree dell'immagine e fissandoli passando una corrente elettrica attraverso la piastra, con l'aiuto di una batteria galvanica;
(4) riscaldando la parte posteriore della piastra con una lampada a spirito, invece di una batteria, per fissare i colori applicati selettivamente alla parte anteriore della piastra.

Sconosciuto - Ritratto di gentiluomo che legge, 1840-1865.
Dagherrotipo, stereo, con applicata colorazione, lasciato a metà. 8.7 x 17.4 cm. -
Foto Museum Provincie Antwerpen - www.daguerreobase.org - Daguerreobase no: FMA-P-1973-231

Un altro esempio:


Fotografo non identificato (francese) - Nudo femminile. 1858 (ca).
Dagherrotipo, stereo, con il colore applicato. George Eastman House
Per gentile concessione di George Eastman House, Rochester, NY.

Le prime fotografie a colori erano immagini in bianco e nero che avevano il colore applicato a mano. Questa immagine erotica, faceva parte di un vivace commercio sotterraneo di "studi di artista," è un eccellente esempio di quello che poteva essere realizzato. La maggior parte di questi lavori era meno precisa, mancante dell'attenzione al dettaglio che il colorista ha prodigato su questo specifico dagherrotipo.

1843 John Plumbe, Jr., di Boston pubblicizzava che la sua catena di sei gallerie, nel nordest, poteva realizzare dagherrotipi colorati. Nonostante tali rapidi progressi iniziali, ci vorranno quasi un centinaio di anni di ricerca e sviluppo per perfezionare la resa del colore attraverso mezzi puramente fotografici.


John Plumbe Jr. - Uomo seduto non identificato, che sta leggendo un giornale, 1844
Dagherrotipo, piastra 1/4 3 1.2 x 2 3/4 a. Getty Museum - Il J. Paul Getty Trust (84.XT.1565.22)



2.2. Procedimento di colore diretto: i primi esperimenti

Nel 1840 Sir John Herschel, noto astronomo britannico e creatore di molte idee seminali nella fotografia, segnalò di essere in grado di registrare, rosso, verde e blu su carta rivestita di cloruro d'argento. Questi tre colori corrispondevano ai raggi di luce proiettati sulla carta da uno spettro solare prismato. Il lavoro di Herschel suggerì che le fotografie a colori potevano essere realizzate direttamente dall'azione della luce su una superficie chimicamente sensibile. Tuttavia, poichè Herschel non era in grado di fissare i colori su carta patinata, questi potevano essere visti solo molto brevemente alla luce, prima di scurire e diventare neri. Altri sperimentatori, tra cui Edmond Becquerel, verso la fine degli anni 1840 e gli inizi del 1850, e Nièpce de Saint-Victor nel 1850 e 1860, tentarono di registrare i colori direttamente sui dagherrotipi. Questo veniva fatto attraverso Eliocromia, un processo che non fa uso di filtri o coloranti. Anche se i colori non svanivano da soli, Nièpce de Saint-Victor non trovò mai un metodo per correggerli permanentemente. Quando erano esposti alla luce diretta, senza un rivestimento protettivo, rapidamente viravano al grigio.


Julia Margaret Cameron. Sir John Frederick William Herschel, baronetto, Collingswood. 1867, 7 Aprile
Stampa Albumen 36,1 x 28,1 cm. Museum Folkwang, Essen.
Acquisito 1961 per la raccolta di studio della scuola Folkwang, dal 1979 Folkwang Museum, Inv. 100/5/225, ©

2.3. La controversia Hillotype

Agli inizi del 1851 Levi L. Hill, un ministro Battista di Westkill, New York, annunciò un procedimento diretto di colorazione, conosciuto come Hillotype, per cui era in grado di produrre immagini con colori permanenti. L'annuncio di Hill creò molto scalpore e bloccò temporaneamente la produzione di ritratti tramite Dagherrotipo, visto che il pubblico decise di attendere questo nuovo processo di colorazione. Tutti volevano sapere come Hill avesse realizzato questo miracolo. Anche se il pubblico attendeva ansioso, da Hill non arrivava nessuna novità, e così ben presto venne denunciato come ciarlatano. Cinque anni più tardi, Hill finalmente pubblicò, con abbonamento anticipato, un trattato di Eliocromia (1856). Piuttosto che un metodo passo per passo, era un racconto sconnesso della sua vita e dei suoi esperimenti, che non conteneva alcuna istruzione praticabile per attuare il suo processo segreto di fare immagini fotografiche a colori. Hill disse che il metodo era basato sull'uso di un agente di sviluppo nuovo, senza nome, al posto del mercurio. Al momento, il processo venne respinto come una bufala creata da Hill che, in realta, colorava a mano i suoi dagherrotipi. Appena prima della sua morte, nel 1865, Hill sostenne ancora di aver fatto immagini fotografiche a colori, ma che questo era avvenuto per caso. Egli dichiarò di aver trascorso gli ultimi 15 anni della sua vita tentando di ripetere questa combinazione accidentale, senza successo. Le più recenti evidenze scientifiche segnalano che Hill realizzò un processo di parziale colorazione diretta in grado di produrre diversi colori naturali, ma che colorò a mano le sue tavole per mascherare le loro mancanze*.


Levi L. Hill. Paesaggio con casa colonica, 1851. Hillotype. Museo Nazionale di storia americana
Per gentile concessione della raccolta di storia fotografica, Museo Nazionale di storia americana, Washington, DC.

Levi L. Hill suscitò scalpore nel 1850 annunciando che aveva scoperto un modo per fare fotografie a colori direttamente dalla natura. La comunità fotografica aspettò invano che Hill pubblicasse i risultati ripetibili del processo fino a che le sue asserzioni vennero respinte come ingannevoli. Ora, sembra che il suo metodo abbia combinato un'immagine fatta con una macchina fotografica, migliorata con il colore applicato a mano.

Ulteriore esempio:


Levi L. Hill. Riproduzione dei colori sperimentali di una stampa litografica europea a colori, raffigurante
una ragazza e un animale, 1851-1856 (ca). Hillotype. Museo Nazionale di storia americana
Colori catturati su una piastra di dagherrotipo usando un processo sperimentale.



2.4. La teoria additiva: Prima immagine fotografica a colori

La prima legittima immagine fotografica a colori fu fatta nel 1861 da James Clerk Maxwell, uno scienziato scozzese. Maxwell utilizzò la teoria additiva sviluppata da Thomas Young e raffinata dallo scienziato tedesco Hermann von Helmholtz. Questa teoria additiva era basata sul principio che tutti i colori della luce possono essere mescolati otticamente combinando, in proporzioni diverse, i tre colori primari dello spettro: rosso, verde e blu (RGB). Solo due colori primari possono essere mescolati in varie proporzioni per produrre molti colori di luce. Ad esempio, una miscela di giusta proporzione della luce rossa e verde produce il giallo. Quando tutti e tre i colori primari della luce sono combinati in uguali quantità il risultato è la luce bianca. Quando la luce bianca viene fatto passare attraverso un filtro di colore primario (RGB), il filtro trasmette solo quel particolare colore della luce e assorbe gli altri colori. Un filtro rosso trasmette la luce rossa, assorbendo tutti gli altri colori, che sono combinazioni di luce verde e blu.


Anon. Il processo additivo n.d. Collezione privata di Robert Hirsch
Nel processo additivo i fasci separati di luce rossa, verde e blu si mescolano per formare qualunque colore nello spettro visibile. Quando i tre colori primari additivi sono mescolati in proporzioni uguali,
appaiono all'occhio umano come luce bianca.

2.5. Processo di proiezione di Maxwell

Facendo uso di questa teoria, Maxwell commissionò al fotografo Thomas Sutton la produzione di un'immagine a colori. Sutton fece quattro — non tre come comunemente creduto — singoli negativi in bianco e nero di un nastro tartan, attraverso diverse esposizioni, proiettandole attraverso fluidi (filtri)** colorati: blu-viola, verde, rosso e giallo. Da ogni negativo vennero fatti due positivi in bianco e nero. Questi positivi, tranne il giallo, vennero proiettati a registro (tutte le immagini perfettamente allineate) su uno schermo bianco da apparati separati, chiamati proiettori lanterna o lanterne magiche, con ogni diapositiva veicolata attraverso lo stesso filtro colorato, usato per fare il negativo originale. Ad esempio, il positivo fotografato attraverso il filtro verde è stato proiettato attraverso lo stesso filtro verde. Quando tutti i tre positivi furono sovrapposti contemporaneamente su uno schermo, il risultato fu un'immagine proiettata a colori (non una fotografia) del nastro tartan multicolore. Anche se nessun risultato pratico è venuto fino a che il fotochimico tedesco Hermann Wilhelm Vogel è riuscito a fare emulsioni più sensibili al colore attraverso l'uso di coloranti, la dimostrazione di Maxwell ha confermato la teoria del colore additivo e offerto un processo di proiezione pratico per produrre immagini fotografiche a colori.


Thomas Sutton. Thomas Sutton (Cantab). 1875, 30 Aprile
Incisione. Google Libri. Pubblicato in "The British Journal of Photography", Volume XXII, 30 aprile 1875, p.211

Successivamente l'indagine scientifica ha rivelato che le prime emulsioni fotografiche che Sutton utilizzò per l'esperimento di Maxwell non erano in grado di registrare pienamente lo spettro visibile. Non erano ancora state inventate le emulsioni ortocromatiche (sensibili a tutti i colori tranne rosso e profondo arancione) né le pancromatiche (sensibili al rosso, verde, blu e ultraviolette). Il test sarebbe fallito poiché l'emulsione utilizzata non era sensibile al rosso e era solo leggermente sensibile al verde. E' dovuto passare un secolo per capire che Maxwell ha lavorato con un'emulsione che non era sensibile a tutti i colori primari. Oggi si ritiene che il metodo di Maxwell sia riuscito a causa di due altre carenze nei materiali che hanno annullato l'effetto dell'emulsione non sensibile:
(1) il colorante rosso del nastro riflette la luce ultravioletta che è stata registrata sul rosso negativo, e
(2) il suo filtro verde era difettoso, così da lasciare che qualche luce blu colpisse la piastra.
Entrambi questi difetti hanno corretto la mancanza di sensibilità dell'emulsione a luce rossa e verde. Si è anche pensato che Sutton abbia fatto la quarta esposizione, col giallo, per contribuire a compensare il filtro verde, consentendo a più luce blu di raggiungere la piastra. In ogni caso la ricerca di Maxwell risulta essere teoricamente valida e fornisce la base i per sensori digitali che catturano elettronicamente immagini a colori.

 


James Clerk Maxwell, Tartan Ribbon. 1861. Museo della scienza
Riprodotto con l'autorizzazione degli amministratori del Museo della scienza, South Kensington, Londra.

James Clerk Maxwell commissionò a Thomas Sutton la prima immagine fotografica a colori nel 1861.
Il suo successo ha dimostrato la teoria del colore additivo e fornito il primo percorso per la creazione di un processo fotografico di vero colore.



2.6. Metodo delle interferenze dirette di Gabriel Lippmann

Isaac Newton osservò che i colori potevano essere prodotti da interferenza quando una pellicola molto sottile di aria o liquido separa due lastre di vetro. Se una superficie leggermente convessa del vetro è posta su una superficie piana, una pellicola sottile intorno al punto di contatto produrrà cerchi colorati, noti come anelli di Newton. Inoltre, i colori in alcuni coleotteri, uccelli e farfalle, così come le tinte della madreperla e delle bolle di sapone, sono il risultato di fenomeni di interferenza e non sono dovuti a pigmenti effettivi. Un altro esempio comune può essere visto quando si versa benzina o petrolio su una strada bagnata.

Nel 1891 il fisico francese Gabriel Lippmann introdusse un processo di colore basato su principi di interferenza della lunghezza d'onda che non faceva uso di coloranti o pigmenti, che aveva eccellenti proprietà nel processo di archiviazione. Lippmann fece fotografie a colori utilizzando un'emulsione pancromatica e uno specchio di mercurio che rifletteva le onde della luce, in maniera simile a come viene prodotto il colore sulle chiazze di petrolio. Nella fotocamera, la piastra di emulsione è stata posta a contatto con uno specchio di mercurio liquido, rivolto verso l'obiettivo. La luce attraversava la piastra e veniva riflessa dal mercurio, producendo un'immagine latente del pattern di interferenza sulla piastra. Lippmann riuscì a produrre una lastra fotografica a colori sfruttando l'interferenza delle onde dell'immagine con la loro stessa riflessione su uno specchio di mercurio posto dietro l'emulsione sensibile. Ogni raggio di luce impressionava l'emulsione in punti la cui distanza è legata alla sua lunghezza d'onda, dunque al suo colore. Illuminando la lastra ottenuta in modo particolare, si possono ricostituire, per un angolo di vista abbastanza ridotto, i raggi che hanno generato la lastra. Anche se i colori potevano essere sorprendentemente reali, il processo era poco pratico per uso commerciale generale perché richiedeva precisione scientifica, osservazione estremamente lunga, metodi complessi e tempi di esposizione. Questo processo, per il quale Lippmann meritò il premio Nobel, è considerato una pietra miliare per il futuro sviluppo dell'olografia.


Gabriel Lippmann, autoritratto, n.d. Lastra di vetro di colore (processo di Lippmann)
Musée de l'Elysée © Gabriel Lippmann

La Musée de l'Elysée pone la data di questa immagine intorno al 1892, ma William R. Alschuler (pers. comm. 30 dicembre 2009) ha sottolineato che questa immagine mostra Lippmann, quando era anziano e malato (morì nel 1921). Basandoci su questo è più probabile datarla intorno al 1918-1921.

Un altro esempio:




Gabriel Lippmann. Nature morte, 1891-1899. Color glass plate (processo Lippmann)
Musée de l'Elysée © Gabriel Lippmann

 



2.7. Processi con schermi additivi

Nel 1869 Louis Ducos du Hauron, uno scienziato francese, pubblicò Les Couleurs en photographie – solution du problème, che ha anticipato molti dei quadri teorici per fare fotografie analogiche a colori. Tra le sue soluzioni proposte ce n'era una in cui la teoria additiva poteva essere applicata in modo da non richiedere il processo di separazione complicata concepito da Maxwell. Ducos Du Hauron ha ipotizzato che uno schermo diviso in linee sottili, nei tre colori primari poteva agire come un filtro per produrre una fotografia a colori con una singola esposizione, anziché le tre teoriche necessarie nell'esperimento di Maxwell. Al momento, ha fotografato ogni scena attraverso filtri verdi, arancioni e violacei (all'epoca considerati i colori primari della luce), poi stampato le sue tre esposizioni su sottili fogli di gelatina bichromated contenente carbonio, pigmenti di rosso, blu e giallo, i colori complementari. Quando i tre positivi (trasparenti) erano sovrapposti, si otteneva una fotografia a colori. Contemporaneamente, Charles Cros ha dimostrato indipendentemente come immagini a colori potevano essere fatte utilizzando la separazione dei tre colori negativi/positivi, confermando il percorso che potreva essere seguito per una pratica evoluzione del processo di colorazione.


Louis Ducos du Hauron. Natura morta con gallo, 1869-1879 (ca)
Colore di stampa, processo di imbibizione della tintura, 16.4 x 19.8 cm. George Eastman House

Un altro esempio:

Louis Ducos du Hauron, Agen, Francia. 1877. Heliochrome (processo di bicromato)
16.5 x 22,6 cm (immagine) 19,6 x 25,7 cm (Monte). George Eastman House
Per gentile concessione di George Eastman House, 1981:0285:0001
Nell'immagine la Cathédrale Saint-Caprais di Agen.

Per semplificare il processo, nel primo decennio del Novecento, aziende come la Sanger Shepherd in Inghilterra cominciarono a fabbricare “Repeating Back”, che permettevano al fotografo di fare esposizioni separate di un soggetto statico – ogni volta attraverso un filtro colorato diverso – che successivamente venivano combinate per formare una singola immagine a colori. Poi seguirono le fotocamere "One shot" che utilizzavano lastre in bianco e nero per fare contemporaneamente tre esposizioni del soggetto stesso attraverso tre filtri di colore separati. Questo metodo è stato impiegato anche per il processo "Trichromie" dei fratelli Lumiere (o Trichrome).
Seguirono miglioramenti e queste fotocamere a tripla esposizione sono state utilizzate per pubblicità e ritratti fino all'avvento delle pellicole multistrato come Kodachrome, Agfacolor e Kodacolor.

2.8. Colore Joly

Nel 1894 John Joly, un fisico di Dublino, brevettò il primo processo di linescreen per le fotografie di colore additivo, basato sul concetto di Louis Ducos du Hauron. In questo processo, uno schermo di vetro trasparente con righe rosse, verdi e blu, circa duecento linee per pollice, era disposto contro l'emulsione di una lastra ortocromatica (non sensibile alla luce rossa). Fatta l'esposizione lo schermo veniva rimosso. La lastra era elaborata e stampata a contatto su un'altra lastra per fare una trasparenza positivo nero, posta a registro esatto con lo stesso schermo utilizzato per rendere l'esposizione. Il risultato finale era una trasparenza fotografica dai colori limitati che veniva osservata in controluce. Introdotto nel 1896 come processo di colore Joly, questo metodo ha goduto soltanto di un breve successo. Era costoso e le emulsioni disponibili non erano ancora sensibili a tutta la gamma dello spettro, così che l'immagine finale non era in grado di ottenere l'aspetto del colore "naturale". Tuttavia, il lavoro di Joly ha indicato che il processo con schermo additivo aveva il potenziale per diventare un modo commercialmente conveniente di fare fotografie a colori.


Fotografo sconosciuto (irlandese). Uccelli impagliati, 1895 (ca). Colore Joly.
George Eastman House. Per gentile concessione di George Eastman House, Rochester, NY.

Un altro esempio:


Marcel Meys, Costa rocciosa di notte. 1908 (ca). Autochrome
Per gentile concessione della collezione privata di Mark Jacobs.

Marcel Meys era conosciuto come il fotocromista a causa delle sue capacità artistiche e tecniche che gli permettevano di utilizzare 'effetti speciali' per creare composizioni artistiche e lunatiche. Il lavoro di Meys può essere considerato un precursore delle moderne presentazioni multimediali con le sue proiezioni di immagini che servivano per accompagnare le poesie e anche per cantare e ballare.

2.9. Autochrome

A Lione, in Francia, Auguste e Louis Lumière, inventori del primo proiettore cinematografico, nel 1904, brevettarono un importante passo avanti nella realizzazione di fotografie a colori.
L'Autochrome Lumière fu il primo processo fotografico-colore commercialmente fattibile e ampiamente usato. Introdotto sul mercato nel 1907, rimase in produzione fino al 1935. L'Autochrome era un processo di inversione, che produceva un'immagine unica, una trasparenza positiva su un supporto di vetro che veniva visualizzato in proiezione o attraverso una fonte di luce trasmessa.


Fratelli Lumière, M. Louis Lumiere nel 1907: fotografia scattata al momento dello sviluppo dell'Autochrome, 1935, 9 Novembre. Riproduzione stampata da una lastra di vetro Autochrome - placche Autochrome
Collezione privata di Nadia Valla. © Illustration



Un altro esempio:


Francia Lumière [attribuita a] I fratelli Lumière e la maglieria, 1907. Autochrome
13 x 18 cm. Collezione privata - Scheibli. © Collezione Scheibli

Una lastra Autochrome veniva prodotta così:
(1) un supporto di vetro era coperto con un primo strato di vernice che rimaneva appiccicosa;
(2) lo strato di schermo di colore, composto da amido di patata in grani tinti di arancio-rosso, verde e blu-violetto, era spolverato sulla vernice appiccicosa;
(3) una polvere sottile nero di carbonio riempiva i vuoti restanti fra i grani e gli strati erano pressati;
(4) una seconda vernice veniva applicata per proteggere i grani di amido dall'umidità;
(5) poi veniva applicato uno strato fotosensibile di emulsione di gelatina d'argento; emulsione pancromatica, che estendeva notevolmente l'accuratezza nel registrare l'intera gamma dello spettro visibile, diventato l'emulsione preferita una volta che fu commercialmente disponibile nel 1906;
(6) dopo l'esposizione e l'elaborazione, il produttore consigliava uno strato finale di vernice per proteggere ulteriormente la lastra prima che un vetro di copertura venisse applicato per preservare l'intera immagine a colori.


Anon. Microfotografia del mosaico tricromatico della selezione Autochrome, fatto di grani di amido di patata tinti (7000 grani / mm2) n.d. Microfoto. Institut Lumière (Istituto Lumiere). © Institut Lumière.

Un altro esempio:


Fotografo non identificato
Dettaglio di Autochrome che mostra i grani di amido tinti in arancio, verde e viola
n.d. Autochrome. Institut Lumière (Istituto Lumiere). © Institut LumiÞre

Per mantenere un equilibrio di colore adeguato, un filtro giallo intenso venne disposto davanti alla lente della fotocamera. Dopo lo sviluppo, la piastra era ri-esposta alla luce e finalmente riqualificata per formare una trasparenza positiva costituita da minuscoli puntini di colori primari. L'Autochrome era un metodo pionieristico di utilizzare i principi articolati di Ducos du Hauron e Charles Cros, in cui l'occhio miscelava i colori, in modo molto simile al puntinismo di George Seurat nel quadro "domenica pomeriggio sull'isola di La Grande Jatte (1884-1886), per rendere un'immagine positiva al colore. Alfred Stieglitz ne cantò le lodi sul numero 20, dell'ottobre 1907, di Camera Work: "La fotografia a colori è un fatto compiuto. La domanda apparentemente eterna se il colore sarebbe mai stato alla portata del fotografo ha avuto sicuramente risposta... Le possibilità del processo sembrano essere illimitate... Insomma, presto il mondo sarà pazzo di colore e Lumière sarà il responsabile."


Anon. "Fotografia a colori per tutti" - copertina di opuscolo, 1911.
Collezione privata di Nadia Valla. © Nadia Valla



Utilizzato dal 1907 al 1935, l'Autochrome ha avuto i suoi limiti. Poiché la luce doveva viaggiare attraverso i grani di amido di patata e il filtro giallo sulla parte anteriore dell'obiettivo, i tempi di esposizione erano molto più lunghi rispetto alle pellicole in bianco e nero del tempo. Nei processi additivi, non era raro che il 75 per cento o più della luce venisse assorbita da questa combinazione di filtri prima di raggiungere l'emulsione. Il tempo di esposizione iniziale suggerito era tra 1/5 di secondo e 1 secondo a f/4 con luce diretta del sole a mezzogiorno in estate e sei volte più a lungo in una giornata nuvolosa, anche se nel tempo ci sono stati molti suggerimenti su come aumentare la sensibilità. I grani di patata casualmente applicata tendevano a fare grappolo, creando macchie di colore. Inoltre, le autocromie che non erano proiettate da lanterne, potevano essere difficili da vedere e a volte venivano collocate in visori appositamente progettati, chiamati diascopes. Quando furono commercializzati regolarmente a New York (ca. 1910), una scatola di quattro lastre3 1/4 × 4-inch costava $1,20 e una scatola di lastre 7 × 14-inch era venduta per $7,50, cifre li rendevano costosi per una persona comune.


Anon. Agenda lumière - pubblicità n.d. Annuncio. Collezione privata di Nadia Valla. © Nadia Valla

Un altro esempio:


Fotografo non identificato. Diascope n.d.
Collezione privata di Nadia Valla © Nadia Valla

I vantaggi di questo processo, tuttavia, erano numerosi. Le autocromie potevano essere utilizzate con qualsiasi fotocamera con l'aggiunta di uno speciale filtro giallo-arancio; l'immagine era realizzata con una sola esposizione, non con tre. Anche se costoso, il prezzo non era eccessivamente proibitivo; tutto questo consentì anche ai dilettanti un accesso molto più facile al colore; anche se i colori non erano accurati per gli standard odierni, producevano una calda, morbida e invitante immagine pastello che le persone consideravano abbastanza piacevole.


Fred Payne Clatworthy, Gruppo indiano Sioux. 1927. Autochrome. 5 × 7 ins.
Collezione privata di Mark Jacobs. Per gentile concessione della Collezione Mark Jacobs.

Fred Payne Clatworthy era un fotografo indipendente del National Geographic specializzato nelle autocromie scenografiche del West americano. Clatworthy gestiva uno studio fotografico nel Rocky Mountain National Park.
Nella didascalia originale di questa immagine si legge:
"Nessuna altra tribù ha resistito alla marea in avvicinamento della civiltà dell'uomo bianco con più determinazione rispetto ai Sioux coraggiosi e aggressivi. Un popolo ben attrezzato, sia fisicamente che mentalmente, per molti anni hanno regnato nel paese che è ora chiamato Minnesota, Dakota e Montana. Gli antenati di alcuni dei capi fotografati qui, hanno pianificato ed eseguito la campagna in cui perì Custer".

Un altro esempio:


Fred Payne Clatworthy, Aspens, 1923. Autochrome. 5 x 7 in.
Collezione privata di Mark Jacobs. © Collezione Mark Jacobs
Questa immagine è apparsa nell'aprile 1923 su "Western Views in the Land of the Best" del National Geographic.




La prima guerra mondiale è stato il primo grande conflitto ad essere raccontato dalla fotografia a colori.
Le Autocromie divennero la base per pubblicazioni quali l'Histoire illustrée de la guerre del 1914. Alla fine della prima guerra mondiale, riviste come il National Geographic usarono autocromie per effettuare riproduzioni di colore, per la prima volta nella loro storia. Tra il 1914 e il 1938, il National Geographic pubblicò 2.355 autocromie, più di qualsiasi altro giornale, assumendo così un ruolo di leadership nel portare il "realismo" della fotografia a colori a disposizione della massa. Autochrome fu il primo processo di colore a superare la fase della novità e ad avere successo nel mercato. Infranse un grave ostacolo estetico in quanto fu accettato e preso sul serio per le sue potenzialità nel fare foto. Questo permise ai fotografi di iniziare ad esplorare le possibilità visive, di fare fotografie con colori significativi per progetti ambiziosi come gli archivi del pianeta di Albert Kahn. Tra il 1909 e il 1931, il banchiere francese finanziò squadre fotografiche che visitarono più di 50 paesi, raccogliendo circa 72.000 lastre Autochrome, documentando a colori la diversità della condizione umana, non solo come reportage etnografico, ma anche ai fini di ispirare l'educazione e la pace universale.


Jean-Baptiste Tournassoud, Fanteria alpina al campo. 1914 (ca). Autochrome Lumière. 13 x 18 cm.
Institut Lumière (Istituto Lumiere). © Coll. Institut Lumière, Lyon - France.

Un altro esempio:


Jean-Baptiste Tournassoud, Corazzieri (R. 7) - Camp de La Doua, 1913 (ca).
Colore di stampa da un Autochrome Lumière. 13 x 18 cm.
Associazione degli amici di Jean-Baptiste Tournassoud
© Coll. Mick Micheyl / des Assoc. Amis de J-B Tournassoud

2.10. Processp Finlay e lastre Paget

Altri processi con schermo additivo seguirono sulla scia dell'Autochrome. Nel 1906 l'inglese Clare L. Finlay brevettò un procedimento che venne introdotto nel 1908 come Thames Colour Screen.
Al posto dle modello a mosaico casuale utilizzato dall'Autochrome, questo sistema componeva su uno schermo separato una scacchiera ordinata di elementi di rossi, verdi e blu, che poteva essere utilizzato con qualsiasi tipo di pellicola pancromatica o lastra per fare una fotografia a colori. Il Thames Colour Screen che combinava uno schermo integrale con l'emulsione per formare una lastra unica, fu pubblicato nel 1909. Entrambi questi processi sono stati abbandonati dopo la guerra, ma le versioni migliorate furono commercializzate sotto il nome di colore Finlay nel 1929 e nel 1931. I processi di colore Finlay dovevano essere i principali rivali per Dufaycolor fino all'introduzione dei materiali di processo sottrattivo, alla metà degli anni trenta.


Fotografo non identificato (British). [Gruppo giovanile di oceano]. 1913 (ca). Lastra Thames 4 x 5 ins.
Collezione privata di Mark Jacobs. Per gentile concessione di Mark Jacobs insieme.




Un altro esempio:


H.C. Tibbitts. Festival Hall da ovest, Panama-Pacific International Exposition, San Francisco, CA. 1915.
Piastra di Paget. 3 1/4 x 3 1/4 ins. Collezione privata di Mark Jacobs
Per gentile concessione della Collezione Mark Jacobs.

Il processo con schermo di colore Paget ebbe un modesto successo utilizzando un mosaico regolare colore su schermo piatto. Per un breve tempo (ca. 1912-1914), fu uno dei pochi processi colore additivo utilizzati per fare stampe tipo-riflessione su carta.

NOTE
* “Was the inventor of the first color photograph a genius, or a fraud? New research reveals the answer to a much debated 156 year-old mystery,” Getty Press Release October 29, 2007, http://www.getty.edu/news/press/center/hillotypes_release_102307.html .

** E.J. Wall, The History of Three-Color Photography (New York: American Photographic Publishers, 1925, and London and New York: Focal Press reprint, 1970), pp. 2 – 4 based on reports in Photo. Notes, 1861: 169 and British Journal Photography, 1861, 8: 272.

*** David Okuefuna, The Dawn of the Color Photograph: Albert Kahn’s Archives of the Planet (Princeton, NJ and Oxford: Princeton University Press, 2008), p. 7.


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I paragrafi del capitolo dedicato alla storia della fotografia a colori
2.1 Le prime fotografie di colore: colore applicato i processi
2,2 colore diretto del processo: primi esperimenti
2.3 La polemica Hillotype
2.4 la teoria additiva: prima immagine fotografica a colori
2.5 Proiezione processo
2.6 interferenza diretta metodo di Maxwell di Gabriel Lippmann
2.7 Schermo additivo processi
2.8 Joly colore
2.9 Paget e quadricromie Autochrome
2.10 Finlay secco piatto
2.11 Dufaycolor
2.12 Polachrome
2.13 Additiva attrezzature - additivo ingranditori
2.14 ingrandimento digitale
2.15 Televisione
2.16 il metodo sottrattivo
2.17 Primario pigmento colori
2.18 il processo di assemblaggio sottrattiva: eliografia
2.19 Kromskop tripla fotocamera e visualizzatore Kromskop
2.20 Carbro processo
2,21 Processo di trasferimento di colore mezzetinte
2.22 Dye-imbibizione processo/tintura
2,23 Film sottrattivo e sviluppo cromogeno
2.24 il processo Kodachrome
2.25 Trasparenza cromogenico Film
2.26 cromogenico pellicola negativa
2,27 C-41: sviluppo negativo cromogenico
2.28 colore aggiuntive processi - processo di tintura-Bleach/Dye-distruzione d'argento
2.29 Interno Dye Diffusion-trasferimento processo
2,30 la Polaroid: Diffusione-trasferimento
2,31 Accettazione di guadagni colore nei sistemi amatoriali mondo arte
2.32 spingere l'uso del colore
2.33 Digital Imaging
2,34 la nascita dell'informatica
2,35 1960: Arte in laboratorio di ricerca
2,36 anni settanta e ottanta: computer ottenere personali
2.37 Digital Imaging entra nel Mainstream