Gli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni sono "copie"
di Ubaldo DiBenedetto Ph.D Harvard University
Lo studioso Emile Male scrisse che il teatro condizionò l'iconografia della pittura medievale, e non viceversa. Il mio studio documenta che gli affreschi nella Cappella degli Scrovegni non sono creazioni originali ma copie fedelissime delle sacre rappresentazioni sceneggiate su un palcoscenico di legno all'aperto nell'Arena Romana dove fu costruita la Cappella degli Scrovegni. Due componenti permanenti e tre attrezzature variabili sono visibili in tutti gli affreschi.

Cappella degli Scrovegni a Padova - parete nord
  
Gli affreschi di Giotto non sono opere artistiche originali.
  
Non possono esserlo perché tre invariabili componenti materiali del
    palcoscenico e due aspetti scenografici del teatro medievale sono riprodotti con
    esattezza in ogni affresco. Componenti e aspetti stabiliscono che Giotto copiò le
    scene delle Sacre Rappresentazioni presentate sullo stesso palcoscenico
    all’aperto nell’Arena Romana a poca distanza dalla Cappella degli Scrovegni e,
    come si vedrà, gli affreschi comprovano la tesi di Émile Mâle cosi perfettamente
    da non poter essere rigettata.
    
    I componenti sono:
1. Fondale e tavolato del palcoscenico di legno.
    2. Tavolato con pendenza tradizionale.
    
    I tre aspetti scenografici unici del teatro medievale sono:
1. Ordine degli eventi da destra a sinistra nella scena multipla.
    2. Strutture sproporzionate ( modellini di scena ) e diaframmi verticali.
    3. Costose vesti liturgiche con vividi colori prestate al teatro per distinguere
    i principali protagonisti.
Componenti e aspetti saranno identificati nei loro particolari con documenti
    dopo una breve introduzione nella quale pongo in rilievo gli avvenimenti
    storici che hanno spianato il percorso delle ricerche.
    In un profondo tuffo nel Medioevo, Émile Mâle , lo scolastico francese che vinse il Premio Nobel per la Letteratura, riuscì a verificare che fu il teatro a proporre alla pittura come rappresentare gli episodi della Bibbia medievale, e non viceversa (Ref: L'art religieux du XIIIe siècle en France 1898)
Con precisi riferimenti Mâle rese manifesto che il teatro produsse il primo
    sistema didattico visivo accessibile a tutti. Se la Chiesa ebbe una lingua
    universale nel medioevo, fu quella grafica/visiva del teatro. 
    È la stessa lingua che tutti parlano negli affreschi di Giotto. 
    Per mezzo di caratteri pittorici capaci di esprimere i sentimenti con la mimica, lo spettatore poteva intendere il loro significato indipendentemente dalla lingua parlata. Non vi sono nè pubblicazioni che non accettino la tesi, nè  che presentino il contrario. (Ref: Art et artistes du Moyen Âge (1927); L'Art religieux du XIIe au XVIIIe siècle (1945).
Anzi, Martin Stevens sostiene che solamente il teatro religioso aveva secoli di
    esperienza nella messinscena per poter rendere visibile con figure umane,
    gesti ed espressioni del viso, ciò che era difficile immaginare ascoltando la
    Messa in Latino, o le parabole di Cristo nel dialetto locale. Stevens aggiunge
    che il continuo sviluppo dei necessari elementi grafici abili a sostituire la
    voce umana non è anteriore a quelli progrediti dalla pittura medievale
    ( Probings: Art Criticism , New Literary History, Volume 22, Baltimore: John
    Hopkins University Press, 1991).

Cappella degli Scrovegni a Padova - parete sud
L’idea di trasformare la monumentalità delle stereotipate immagini religiose
    dipinte nelle chiese, in quelle che sul palcoscenico avevano le stesse
    caratteristiche naturali degli spettatori fu vivamente accolta nel mondo
    medievale. Si tratta di una trasformazione visiva che, come propongo, passò
    ad essere l’unico itinerario alla fede che avevano gli spettatori quando gli altri
    procedimenti erano i sermoni a voce in Latino. 
    
    
    La Chiesa sostenne il teatro come l’unico sistema educativo atto a familiarizzare la maggior parte degli incolti spettatori con la vita di Cristo, e renderla rispondente alle esigenze intellettuali. 
    Sul palcoscenico gli attori professionisti e gli extra laici locali non sono sospesi in aria ma hanno peso, i muri non sono dorati, l’ambiente è ispirato alla vita quotidiana, e la narrazione del semplice evento è descritta mediante i gesti del corpo. In modo benefico gli attori rimanevano immobili come in una fotografia - e così furono copiati da Giotto - permettendo che la mimica espressa da ogni attore venisse percepita con gli occhi degli spettatori che - come vedremo - passavano di fronte al palcoscenico in un'unica direzione. Questo sistema permetteva a tutti gli
    spettatori di vedere se stessi sul palcoscenico. Aggiornando gli affreschi con
    attori, vicini di casa, costumi e modellini di scena attuali ci sentiremo parte
    degli affreschi anche noi.
Come metterò in rilievo con particolari dettagli, gli spettatori medievali
    passavano davanti al palcoscenico in una determinata direzione. Questo
    procedimento permetteva di vedere ogni evento nella propria cronologia
    nella scena multipla e, quindi, come erano disposti i protagonisti sul
    palcoscenico - due caratteristiche che ritroviamo negli affreschi. 
    Il cambio delle scene - una media di sei al giorno per un totale di 40, corrispondente ai giorni della Quaresima - e il numero degli affreschi, era arricchito con gli anni
    ammassando le tecniche necessarie per creare raffigurazioni grafiche
    permesse dalla Chiesa, e raccogliendo un completo dizionario del linguaggio
    dei gesti e del viso perché, come disse Edward Sapir, noi rispondiamo meglio
    a questo linguaggio.
Quando l’Italia non aveva una lingua nazionale, ed era frammentata da
    dialetti, gli attori non avevano un “copione” scritto in un linguaggio valido
    per tutta l’Italia. Ecco perché, successivamente al Quam quaeritis (tre versi),
    le biblioteche non elencano il testo di opere drammatiche nel 1305.
    In città come Padova, la semplice scena era rappresentata da mimi
    professionisti. Questi maestri della mimica rimanevano immobili durante la
    scena con gesti del corpo ed espressioni del viso così definiti da essere interpretati correttamente, e dipinti da Giotto così com'erano sul palcoscenico. 
    “Recitare a parola parve sempre cosa strana” (Apollo Lumini, Le Sacre Rappresentazioni italiane dei secoli XIV, XV e XVI, Palermo:Monaina,
    1877).
Gli affreschi sono tutta mimica perché la scena era basata esclusivamente su questo linguaggio visivo. Esempio:il Tradimento di Giuda.

Mentre con Giotto la mimica descrive l’evoluzione della scena con esatte
    posture delle mani e i dissimili sguardi di esitazione e persuasione fra
    il rabbino e Giuda (sinistra), con  Gaddi questa evoluzione manca per non
    rendere chiaro con gesti ed espressioni l’importante, contrastante
    atteggiamento fra Giuda e il rabbino (destra). Inoltre, non sappiamo se gli
    altri due sommi sacerdoti siano d’accordo, o se stiano esprimendo altre
    emozioni. Escludendo il teatro, che esperienza aveva Giotto—che non era
    teologo, non leggeva Latino, e non aveva esperienza nella messinscena—per
    illustrare la prima teologia visiva descritta con la mimica?
  
Pagano della Torre - e non Alberto da Padova - fu il committente che convinse Enrico degli Scrovegni a costruire una Cappella capace di ospitare copie pittoriche delle scene delle Sacre Rappresentazioni che avevano luogo nell’Arena Romana, il sito della nuova Cappella. 
    Essendo l’usurario desideroso di migliorare il giudizio negativo sulla sua famiglia
    largamente diffuso, è presumibile che Enrico accettasse l’idea per ripagare i
    peccati di suo padre. Le copie avrebbero provvisto ai fedeli l’opportunità di
    avere un itinerario della fede ogni giorno - non solamente a Pasqua - creando
    un senso di gratitudine verso gli Scrovegni. L’idea di avere le Sacre
    Rappresentazioni descritte in un linguaggio visivo ogni giorno fu tale che, nel
    Marzo 1304, un anno prima che fosse completata la decorazione della Cappella, Papa Benedetto XI concesse “indulgenza a tutti i pellegrini” che  andassero alla Cappella degli Scrovegni per  venire a conoscenza della vita  esemplare del Figlio di Dio“ (James Stubblebine,  Giotto: The Arena Chapel  Frescoes , W.W Norton: London, 1969 p. 105).             
L’ idea del vescovo Pagano della Torre fa sì che, per la prima volta nella storia  dell’architettura medievale di una Cappella, la forma asimmetrica, lunghezza,  altezza di due muri con una superficie pianeggiante, e sei strette finestre solo  su un lato fossero concepiti per poter ospitare 40 affreschi.   Questo fece sì che le proporzioni naturali dei protagonisti fossero facilmente visibili  negli affreschi, e che Giotto abbia usato come modelli i  tableaux  vivants, gli attori mimi delle  Sacre Rappresentazioni  in grandi città.     D’altra  parte,  le immagini in proporzioni naturali riuscirono a dimostrare il loro  rapporto con lo spettatore (ref: “ Iconografia e Liturgia,”  ATTI DEL CONCILIO  NICENO SECONDO ECUMENICO SETTIMO).
Fu San Francesco a sceneggiare  la  prima  drammatica   scena   dai Vangeli   nel 1223,  con  una rappresentazione  “vivente” della  nascita del Bambino di Betlemme 
1. Tavolato e fondale del palcoscenico
Dalla più antica illustrazione del palcoscenico all’aperto conservata nella Biblioteca di Cambrai, Francia, possiamo dedurre che due componenti essenziali procuravano lo spazio elevato: il verticale e l’ orizzontale.

Cortesia della Bibliothèque Municipale, Archivio XVI secolo, Cambrai, Francia
Il verticale era il fondale. Un sipario non-scorrevole alto e largo, il fondale era appeso dietro gli attori e gli oggetti di scena per inquadrarli e separarli dall’ambiente circostante. Di un unico colore - verde o azzurro - il fondale non era decorato per non modificare la messinscena.
L’orizzontale era un tavolato. Questo insieme di tavole di legno piane creavano la solida superficie per gli attori e gli oggetti di scena mobili. Liscio e stabile, il tavolato aveva più o meno la stessa lunghezza del fondale. In senso ampio, il tavolato era il pavimento di una stanza che aveva un colore particolare, mentre il fondale, la parete posteriore era di un colore diverso. Portatili e di semplice assemblaggio, questi due attrezzi facevano parte dei primi palcoscenici all’aperto che i mimi e girovaghi allestivano su carri o barili.
Fondale e tavolato rimasero gli attrezzi essenziali dal Medioevo al XVII secolo perché riprodotti da De Caullery in "A scene from the Commedia dell’Arte".
    
  
Giotto incluse i due componenti nel primo affresco nella Cappella Scrovegni come quelli che creavano lo spazio scenico del palcoscenico all’aperto a Padova.
Lo sfondo azzurro non è scenico; il tavolato, è marrone, il colore del legno lasciato all’aperto:
    
    
  
  
