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Storia e Tecnica dell'Arte

Il manuale del falsario (2):
l'importanza della firma

di Eric Hebborn

In questo estratto del suo libro “Il Manuale del falsario“ (Neri Pozza, 1995 - 234 pagine),
il celebre falsario Eric Hebborn descrive alcuni esempi di plagio nell'arte.

Sullo stesso argomento: Come si crea un dipinto "antico"


Dare nomi è davvero un’arte poetica.
- Thomas Carlyle


Chi potrebbe negare la potenza della parola? «In principio era il Verbo ...». Fra tutte le parole, le più potenti, le più magiche sono i nomi. Nei miti come nelle Sacre Scritture, il Creatore pronuncia il nome delle cose che desidera creare, ed esse prendono vita. Seguendo l'esempio del grande Demiurgo, anche lo stregone di un tempo usava la potenza dei nomi e, senza distinguere chiaramente fra il nome e la cosa stessa, immaginava che con canti e incantesimi avrebbe potuto far scendere la pioggia, evocare gli spiriti dei morti o entrare in contatto col diavolo.

Uso e abuso dei nomi sono ancora oggi una pratica magica quotidiana: tutti noi, ogni volta che pronunciamo un nome, operiamo un incantesimo. Ma per lo più non ce ne rendiamo conto e, soprattutto, lo facciamo senza competenza. Siamo quindi null'altro che apprendisti stregoni - anzi, più che stregoni, siamo esseri stregati. Perché il più grande alchimista, mago, incantatore (comunque lo si voglia chiamare) dei nostri tempi è il pubblicitario. Quale tremenda magia impiega per soggiogare il potenziale consumatore! Tutto con un semplice espediente: la ripetizione incessante, martellante del nome del prodotto che vuole vendere. Ce lo fa leggere sui giornali, sullo schermo televisivo, sui manifesti, negli stadi, sulle magliette che la gente indossa. In verità, da qualsiasi parte ci voltiamo ci giunge all'orecchio o ci appare davanti agli occhi l'onnipresente nome.
Con quel continuo ripetere (la cantilena magica dei tempi antichi) ci manda in uno stato di trance in cui, al pari dei nostri antenati colpiti dall'incantesimo dello sciamano, non sappiamo più distinguere i nomi dalle cose.
A questo punto, per quanto possa essere valido un prodotto senza nome, non lo prendiamo nemmeno in considerazione. Non compriamo più orologi, bibite o borsette, ma Rolex, Coca-Cola, Fendi o altri nomi magici.

La stessa cosa vale per i disegni e i dipinti: la tecnica di vendita del mercante d'arte è esattamente la stessa del venditore di un qualsiasi bene voluttuario. Un'opera firmata da un artista famoso è un oggetto incantato e quell'incantesimo, di cui non è necessariamente responsabile l'autore, moltiplica il suo valore sul mercato. Tempo fa circolava un aneddoto su un buontempone che vide da un noto antiquario di Parigi un dipinto firmato e ne domandò il prezzo. «Mille franchi», rispose l'antiquario. «E senza la cornice e la firma?»
domandò lui. «Oh, in tal caso», disse l'antiquario che era a sua volta spiritoso, «può averlo per tre franchi e cinquanta».

Alcune firme dei maestri della pittura:

Hieronymus Bosch:

Canaletto:
Caravaggio:
Cezanne:
Chagall:
Corot:
Dalì:
Degas:Delacroix:

El Greco:

Gauguin:

Goya:Guardi:
Holbein:

Ingres:

Leonardo da Vinci:

Manet:

Michelangelo:Modigliani:
Monet:

Picasso:
Poussin:

Raffaello Sanzio:
Rembrandt:

Seurat:

Rembrandt:

Renoir:
Tiepolo:

Tintoretto:

Vincent van Gogh:

Vermeer:

Veronese:

Quante volte abbiamo notato un amante dell'arte che sbirciava nell'angolo di un quadro, cercando ansiosamente una firma che lo autorizzasse a esserne ammaliato oppure no. Perché va detto che i nomi possono essere impiegati per la magia nera, oltre che per la magia bianca; in tal caso hanno l'effetto di maledizioni.

Per esempio, un Rembrandt che porta la firma di un seguace del maestro, diciamo Ferdinand Bol (1616-1680), agli occhi del mondo perde gran parte del suo valore, sia artistico sia monetario.

Scrivendo a proposito dei noti falsari contemporanei come Van Meegeren, Elmyr de Hory e Tom Keating, Mark Jones osservò: «La loro fama è dovuta più al prestigio degli artisti che imitavano che al loro talento. Un nome è davvero tutto». Quando le cose stanno così, il falsificatore di opere d'arte non dovrebbe disdegnare un pizzico di magia, sia per consolidare la propria reputazione, sia per consegnare le proprie opere alla vita con il vantaggio di un buon nome. Bisogna però essere cauti nell'uso delle firme, soprattutto quando si tratta di disegni antichi.

Infatti, gli artisti di un tempo si consideravano anonimi artigiani; soltanto quando iniziarono a vedere se stessi come individui dotati di un talento inimitabile pensarono di farsi pubblicità con una firma (se avessero riflettuto meglio, forse avrebbero concluso che un lavoro veramente inimitabile non ha bisogno di firma - si firma da solo).

Raramente, però, firmavano i disegni, perché in genere questi erano eseguiti in funzione di un dipinto, di una scultura, di un arazzo, di una vetrata o di un'opera architettonica.

Considerare quei disegni preliminari degni di una firma sarebbe parso molto strano a chi aveva l'abitudine di distruggere schizzi, studi, cartoni e modelli subito dopo averli usati. Prima del XVIII secolo si tendeva a firmare soltanto i pochi disegni finiti, che nascevano come opere d'arte autonome.

Un'importante eccezione a questa regola è costituita dai molti disegni di scuola tedesca che venivano contrassegnati con un monogramma. Sembra che a inaugurare quella pratica siano stati i grandi incisori, come Albrecht Diirer (1471-1528), Martin Schongauer (1435/40-1491) e Albrecht Altdorfer (1480-1538), i quali cominciarono a siglare le stampe che pubblicavano a fini di vendita per evitare i plagi, poi presero l'abitudine di firmare anche i disegni.

Per inciso, gli sforzi compiuti da Diirer per salvaguardare i propri diritti d'autore non ebbero molto successo. Il grande incisore italiano Marcantonio Raimondi (1480-1534) trasferì su rame le sue due serie di xilografie intitolate La vita di Maria e La piccola Passione, copiando, nel caso della prima, anche il monogramma, e le vendette come originali per il tramite degli editori veneziani Niccolò e Domenico Dal Gesù.

Se si sia trattato o meno di frode è questione tuttora dibattuta. Il fatto che avesse firmato una delle lastre esattamente come soleva fare Dürer, e cioè

 

 

 

ALBRECHT DURER
NORICOS
FACIEBAT
1504

 

 

 

non fa certo una buona impressione. Ma in fondo Raimondi era un riproduttore di disegni e che tipo di riproduzione è quella in cui manca una scritta importante?
Comunque, Dürer si indignò all'idea che qualcun altro avesse lucrato sul suo nome e, come ci riferisce il Vasari, ricorse alla Signoria di Venezia. Quale fu il verdetto non è chiaro.

A Raimondi fu posto il veto di servirsi della sigla del maestro di Norimberga, ma sicuramente non venne ordinata la distruzione delle lastre incriminate, perché qualcuna di quelle stampe fa ancora la sua comparsa sul mercato di tanto in tanto. Pienamente riabilitate, le incisioni di Raimondi-Dürer sono molto ricercate dai collezionisti, desiderosi di assicurarsi i frutti dell'ingegno di due grandi incisori al prezzo di uno.

A questo punto anche voi potreste collegare un nome magico ai vostri lavori, come fece Marcantonio Raimondi, e sarete lieti di sapere che potete farlo con la coscienza tranquilla, poiché in realtà state semplicemente apponendo un'iscrizione.
Per la legge, firmare un disegno con il nome, per esempio, di Rembrandt non costituisce una falsificazione, perché un disegno non è, dal punto di vista legale, un documento.

Ma bisogna essere molto ingenui per credere che basti mettere il nome di Rembrandt su un disegno eseguito alla sua maniera perché gli esperti lo credano suo. Al più penseranno a un' attribuzione eccessivamente ottimistica e, se il disegno segue fedelmente lo stile del maestro e sembra davvero antico, lo attribuiranno a uno dei suoi seguaci.
Così il vostro gioco è fatto.

Ma supponiamo che il vostro disegno non sia affatto nello stile di Rembrandt e porti comunque il suo illustre nome. Immaginiamo che lo abbiate eseguito alla maniera di Van Dyck (1599-1641) e lo abbiate firmato "Rembrandt".
Questo sarebbe diabolico. Non ha limiti la vostra malizia? Quello che state facendo è indurre un povero e ignaro esperto d'arte a ingannarsi ragionando in questo modo:
«Ecco un interessante disegno antico, erroneamente attribuito a Rembrandt. Chi potrebbe esserne l'autore?»
.

Naturalmente, di primo acchito non penserà a voi o a me e, presumendo che siate riusciti a dare al disegno tutta la freschezza e la spontaneità di un autentico Van Dyck, sarà molto tentato di continuare il suo ragionamento così: «Come sono stato in gamba a identificare un' attribuzione errata. Sarò ancora più in gamba se scoprirò un Van Dyck inedito. Sì, sì: più lo guardo più mi sembra un Van Dyck. Che scoperta sensazionale!»

Ho sperimentato con successo questo trucco con un disegno alla maniera di Parri Spinelli (1387-1453), al quale avevo apposto l'impensabile firma di Giotto, cancellandola poi con una riga a indicare che un esperto, in passato, aveva messo in dubbio quell' attribuzione così ambiziosa. Il foglio fu acquistato da uno dei più importanti storici d'arte di quegli anni: Philip Sutton.

Per imparare a copiare bene una firma ci vuole molto esercizio. Un buon metodo è quello che appresi un giorno da un tizio in un bar romano. L'uomo si chiamava Booth e sosteneva di essere un discendente dell'assassino di Lincoln. Quando me lo disse mi fece pensare alla signora che, nell' apprendere della teoria dell'evoluzione di Darwin, osservò: «Beh, se è vero che discendiamo dalle scimmie dovremmo almeno avere il buon gusto di non parlarne».

Comunque, dopo aver tentato invano di rifilare al barista un certo tipo di banconota da cinquanta dollari, Booth si rivolse a me proponendomi uno scambio: mi avrebbe confidato un segreto inestimabile se gli avessi pagato qualche drink.
Mi spiegò che nella sua professione si trovava spesso nell'imbarazzante situazione di avere in tasca qualche traveller's cheque cui mancava soltanto una firma per essere buono. Per questa ragione era stato costretto a coltivare l'arte della calligrafia.

Volle darmi una dimostrazione della sua bravura e mi invitò a fare la mia firma su un pezzo di carta; poi prese il foglio e, nascondendolo con la mano, vi scrisse sopra. Dopo qualche attimo me lo restituì, chiedendo con una punta d'orgoglio: «Quale delle due firme è la sua?»
Era impossibile distinguerle: dato che si trovavano l'una sopra l'altra, non avevo idea se avesse tracciato la sua copia sopra o sotto l'originale.
Mi congratulai con lui per la sua abilità e accettai di farmi dare una lezione a pagamento. Mai denaro fu meglio investito.
Il suo metodo era semplicissimo.
Dopo avermi spiegato che l'ideale era servirsi della stessa penna che aveva tracciato l'originale, mi rivelò che il calligrafo non deve vedere in una firma una serie di lettere, ma una linea o un insieme di linee astratte.

La lettura delle lettere tende a distrarre l'attenzione dalle qualità della linea in quanto tale. Per evitare di distrarsi e per concentrarsi sui movimenti importanti, è utile capovolgere la firma e copiarla rovesciata, così:


Dopo di che, tutto dipende dall'esercizio. Col tempo si arriva a copiare una firma alla velocità con cui la traccia il suo legittimo proprietario, ottenendo la stessa linea fluida e naturale. A fianco alcune firme su cui potrete esercitarvi. Sono quasi tutte a pennino, perciò vi conviene usare lo stesso attrezzo (come consiglia Booth). Dato che dovrete copiarle molte volte, vi suggerisco di fare diverse fotocopie di questa pagina e delle due che seguono, ingrandendole del 300/0. Dubito che vi servirà mai la firma di Van Eyck (qui sotto), ma è un magnifico esempio di calligrafia e un ottimo stimolo per le vostre doti di calligrafi.

 

 

Monogrammi

Alcuni monogrammi dei maestri:

Dürer:

Touluse Lautrec:

Turner:


Watteau:

Da giovane ho vissuto per un certo tempo con una coppia anziana: i Gibbs. Fu dal signor Gibbs che appresi le prime nozioni, se non proprio sui monogrammi, sull'uso delle iniziali in genere. Era un vecchietto di buon cuore e, sapendo che ero sempre al verde, mi teneva da parte le sue lamette da barba usate perché potessi esercitarmi a tagliare la peluria che stava spuntandomi sul mento. Mi mostrò come affilarle passandole con un moto rotatorio sull'interno di un bicchiere bagnato.

Una volta, durante una mia assenza da casa di alcune settimane, Gibbs mi inviò un pacchetto di lamette usate, con un biglietto di accompagnamento firmato Albert Gibbs R.A. Quando tornai gli dissi che ero stato colpito dalle iniziali R.A.: non sapevo che fosse un artista e che appartenesse addirittura alla Royal Academy! «Ma no» Gibbs si schermì, «R.A. significa Royal Artillery"». Venni così a sapere che nella prima guerra mondiale aveva combattuto nell'artiglieria reale.

Anche la sigla di Albrecht Dürer, A.D., si prestava a un gioco di parole, perché seguita dall'indicazione dell'anno poteva significare «Anno Domini». Il fatto che una sigla si possa interpretare in diversi modi ogni tanto crea imbarazzo anche agli esperti. Come nel caso dello studioso, membro dell'Accademia di Francia che, dopo avere fatto un lungo studio sulla sigla «M.J.D.D.», scritta su un vaso che riteneva antico, ed essere giunto alla conclusione che significava Magno Jovi Deorum Deo (Al grande Giove, dio degli dei), finì per scoprire che il vaso non era affatto antico e che la sigla significava Moutard Jaune de Dijon (Senape gialla di Digione).

Tutto questo per dire che potete usare iniziali e monogrammi con la massima libertà, lasciando agli esperti il compito di interpretarli. Per esempio, potreste scrivere A.D. nell'angolo di un vostro disegno intendendo qualsiasi cosa, oltre che Albrecht Dürer o "Anno Domini" - da "Ammiratore di Dürer" ad "Acqua Distillata". Custodite il vostro piccolo segreto e lasciate che gli altri pensino quello che vogliono.
Eccovi qui a fianco alcuni esempi di monogrammi e di iniziali che un giorno potrebbero servirvi.
Provate a copiarli per fare esercizio.

Scritte ed iscrizioni

Sui disegni si trovano scritte di ogni genere, eseguite per i motivi più diversi. Possono essere annotazioni dell'artista sul luogo e sulla data di esecuzione, sul soggetto, sui colori, o anche su qualcosa che nulla ha a che fare con il disegno - una nota della spesa, la minuta di una lettera.

Anche i collezionisti a volte annotano commenti e osservazioni sui disegni, di solito sul verso del foglio. I rivenditori vi scrivono il prezzo (magari in codice), il numero di catalogo, di inventario e così via. I proprietari il nome del modello, del corniciaio, un riferimento a qualche tradizione di famiglia, la misura dei margini, qualche particolare sui colori della montatura o sulla foggia della cornice.
Sui disegni antichi sono frequenti anche i numeri.

Per inventare una scritta verosimile bisogna compiere una ricerca approfondita, perché è troppo facile commettere errori.
La regola generale è di limitarsi alle iscrizioni la cui assenza desterebbe sospetto.

Per esempio, il topografo inglese Edward Lecar (1812-1888), autore del celebre Libro dei nonsense, scriveva quasi sempre sui suoi rilievi il nome della località, la data, l'ora, la direzione del vento, i colori locali e così via. L'assenza di tali annotazioni in una veduta di Lear sarebbe, se non una condanna certa, quanto meno un indizio negativo.

Un altro esempio: l'artista fiammingo Roelant Savery (1576-1639), i cui disegni di contadini furono per molto tempo attribuiti a Pieter Bruegel il Vecchio, faceva copiose annotazioni sui suoi studi dal vero, e una scritta davvero convincente su un suo disegno inedito ritrovato da poco costituirebbe una buona prova di autenticità.

Se però l'iscrizione fosse anche minimamente sospetta, il disegno verrebbe subito respinto. Non dimenticate che la parola possiede poteri magici pericolosi.
Nel complesso, vi consiglierei di astenervi dal contraffare le scritte o di limitarvi al minimo indispensabile. In fondo, se un disegno è buono non ha bisogno della convalida di una scritta e se è scadente rimane tale, qualsiasi cosa vi si scriva sopra.

 

Marchi dei Collezionisti


Alcuni marchi di collezionisti famosi:

P.J. Mariette, Parigi. Disegni e stampe:

A.P.Leroux (1870-1950), Francia, disegni:
Barone Milford (1744-1823),
Gran Bretagna, disegni antichi:

J. Beitscher (XX sec.) Berlino. Disegni:

R.Cosway (1740-1821),
Londra, disegni e stampe:

Una volta i collezionisti avevano l'abitudine di contrassegnare con un proprio marchio i disegni che raccoglievano. I più rispettosi lo apponevano discretamente in un angolo del disegno, oppure sul verso del foglio. Altri, invece, proclamavano senza mezzi termini la loro proprietà con enormi contrassegni che a volte sfiguravano il disegno o la stampa.

Vi sono marchi di collezionisti davvero belli, ma, indipendentemente dal loro valore estetico,dicono sempre qualcosa sulla storia di un disegno e perciò sono molto interessanti per l'esperto. Per esempio, se un'opera reca il marchio di un collezionista illustre come il francese P.J. Mariette (1694-1774), l'eventuale attribuzione o provenienza da questo indicate verranno prese sul serio.

Quando ero ancora un principiante feci alcuni tentativi maldestri di imitare certi marchi di collezionisti.
Usavo soprattutto due metodi che, con una esperienza maggiore di quanta ne avessi allora, potrebbero essere efficaci. Inchiostravo con inchiostro da stampa un cliché o una matrice di zinco fatta fare appositamente, vi appoggiavo sopra il foglio, tenendolo ben fermo, e lo ripassavo con l'unghia o con il dorso di un cucchiaino.

Il secondo sistema è un po' più laborioso. Si prende un foglio di carta sufficientemente trasparente (non carta da lucido) e si ricalca con cura il marchio a matita, badando che il tratto sia abbastanza scuro da apparire in trasparenza sul rovescio del foglio. Seguendo le linee a matita, si disegna il motivo ad acquerello sul retro del foglio, dove risulterà in controparte (rovesciato). Quando il tracciato è ben asciutto, si inumidisce la zona del disegno destinata a ricevere la marca, vi si posa sopra il motivo all'acquerello a faccia in giù e lo si ripassa, come prima, con l'unghia o con un cucchiaino. Per entrambi i metodi è consigliabile prima stampare un paio di volte il motivo su un altro foglio, così che sul disegno non appaia troppo nero e fresco.

Ancora più semplice e sicuro è un terzo sistema. Si fa una fotocopia del marchio prendendolo dal volume di Frits Lugt, Les marques de collections de dessins et d'estampes, pubblicato ad Amsterdam nel 1921 e ristampato in forma ampliata nel 1956 (un libro che non può mancare nella biblioteca del buon falsario) e la si porta da un incisore:
Se siete abili incisori potrete intagliarlo voi stessi in legno di bosso, come ho fatto anch'io qualche volta; ma si tratta di un metodo lungo e laborioso e dato che, per ovvie ragioni, è sconsigliabile usare lo stesso marchio più di una o due volte, si può dire che il gioco non valga la candela.

Come ho detto sopra, certi marchi di collezionisti sono molto decorativi e, dato che in genere hanno più di cinquant' anni, si possono usare senza infrangere la normativa sui diritti d'autore. Inoltre, se contengono le iniziali del collezionista godono della stessa ambiguità di interpretazione dei monogrammi.

Conviene comunque essere parchi nell'imitazione dei marchi, per via dello stesso ragionarnento che si faceva riguardo alle firrne, ai monogrammi e alle scritte: un buon disegno si promuove da solo, mentre una falsa provenienza, se scoperta, lo squalifica. Un disegno mediocre, d'altra parte, non vale tanta fatica. Se proprio volete imitare il marchio di un collezionista fate bene le vostre ricerche: assicuratevi quanto meno che il collezionista prescelto non fosse già morto quando l'artista di cui avrebbe dovuto raccogliere le opere era ancora in mente Dei.


Sullo stesso argomento: Come si crea un dipinto "antico"